Lunedì 10 Agosto 2009 - Tokyo
In aereo riesco a dormire pochissimo. Quando arriviamo a Tokyo sono circa le 10 del mattino, piove fortissimo. Trovo che l'aeroporto sia molto silenzioso. Entriamo subito in contatto con l'efficienza giapponese, le pratiche per l'immigrazione sono semplici e rapide. Nella zona per il ritiro bagagli ci sono uomini in guanti bianchi che mettono in perfetto ordine le valigie mentre arrivano. Ci sono addirittura occhiali messi a disposizione delle persone per compilare i vari moduli richiesti.
Scegliamo il treno come mezzo per arrivare a Tokyo, che è abbastanza lontana dall'aeroporto. La ragazza della biglietteria ci comunica, dispiaciuta, che il treno è in ritardo a causa di un incidente. In realtà aspettiamo solo una ventina di minuti, ma purtroppo, durante il tragitto, il treno si rivela essere molto lento e impieghiamo più dell'ora prevista per arrivare in città.
Non appena arriviamo alla Tokyo Station ci troviamo immersi nel via vai di migliaia di persone. Sappiamo di dover prendere la metropolitana, ma non sappiamo come arrivarci. Io sto già per andare in panico quando, con calma, riusciamo a capire dove andare. Purtroppo non avendo ancora chiara la topologia della città sbagliamo a cambiare metropolitana, riusciamo comunque, tornando indietro, ad avvicinarci all'hotel. Dalla stazione della metropolitana, chiedendo qualche indicazione, riusciamo facilmente a raggiungere a piedi l'hotel, che si trova proprio in pieno centro, a due passi dalla via principale di Ginza.
La prima impressione che ho della città nel tragitto stazione hotel è di ordine e pulizia.
In hotel posiamo i bagagli e ci facciamo una doccia, dato che dopo dodici ore di aereo e due di treno ci sentiamo dei mostri. Francesco rimane subito affascinato dal wahslet toilet, la tavoletta del wc riscaldata, che provvede anche al bidet.
Usciamo subito per esplorare la città. Iniziamo dalla via principale di Ginza e da quelle vicine, dove spuntano i negozi degli stilisti più famosi.
Visitiamo il Sony Building, dove assistiamo alla proiezione di un acquario in 3D. Raggiungiamo quindi il Palazzo Imperiale, che purtroppo è già chiuso. Lì incontriamo un anziano signore giapponese, che inizia subito a chiacchierare con noi in un inglese corretto ma "affaticato". Ci chiede qualcosa di noi e ci racconta un po' dei giapponesi. In particolare rimarca il fatto che i giapponesi amano molto il raw fish, il pesce crudo, che non a tutti gli occidentali piace. Ne parla così a lungo e con tanta enfasi che il signore lo soprannomineremo Raw Fish.
Facciamo un giro nella zona di Hibija, dove troviamo molta confusione e un camioncino della campagna elettorale, con sopra persone che parlano, mentre nessuno dei passanti le ascolta. Entriamo in un piccolo supermercato per comprare da bere e prendiamo anche due Onigiri, i panini di riso con l'alga intorno che ricordiamo di aver visto in molti cartoni animati.
Visitiamo qualche negozio, tra cui uno di musica e Itoya, un'enorme cartoleria di cui mi avevano parlato bene, ma da cui rimango un po' delusa.
Arrivata l'ora della cena iniziamo la ricerca di un ristorante. Inizialmente cerchiamo un ristorante segnalato dalla Lonely Planet, ma non riusciamo a trovarlo, anche a causa della difficoltà a capire gli indirizzi giapponesi. Proviamo a chiedere consiglio in hotel, ma il ristorante in cui ci mandano non ci ispira molto. Decidiamo quindi di affidarci al caso e dopo aver girato un po' scegliamo un locale che da fuori ci ispira, pieno solamente di giapponesi.
Appena entriamo una cameriera ci avverte che non hanno il menù in inglese. Noi ci guardiamo e le diciamo che non importa. Scegliamo la sala in cui vengono serviti gli Yakitori, gli spiedini cotti alla piastra.
Ci sediamo al bancone e grazie al mio piccolo dizionario di giapponese chiediamo alla cameriera di consigliarci lei cosa scegliere. Prendiamo io due spiedini di pollo e Francesco due di maiale. Vorremmo mangiare qualcos'altro e io inizio a guardare il menù cercando, invano, di tradurre qualcosa col dizionario. Un ragazzo seduto vicino a noi ci vede in difficoltà e gentilmente ci chiede se può aiutarci, peccato che anche lui, come la cameriera, parli pochissimo inglese. In ogni caso riesce a spiegarci alcune cose e ci consiglia, così assaggiamo delle specie di frittate sferiche di polpo, degli spiedini di collo di pollo e altri di uova piccole, credo di quaglia. Anche altre persone, vedendomi alle prese con la sezione culinaria della guida e con il dizionario, si avvicinano per chiedere se ho bisogno di aiuto. Ciò che abbiamo mangiato è tutto buono, ma abbiamo ancora fame. Vediamo che il ragazzo che ci ha aiutati e il suo amico stanno mangiando dei noodles dall'aspetto invitante. Gli chiediamo se può dirci il nome del piatto e lui gentilmente ce ne dà una porzione per farceli assaggiare. Sono ottimi, così li ordiniamo: si chiamano yakisoba.
In conclusione stasera, senza capire niente, abbiamo mangiato tanto e bene, spendendo pochissimo.
Domani mattina ci alzeremo molto presto per visitare il mercato del pesce.
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