giovedì 10 dicembre 2009

Muse in Concerto – Torino PalaIsozaki 4 Dicembre 2009



Venerdì 4 dicembre 2009 sono stata, con Francesco e alcuni amici, al Pala Isozaki di Torino, o Palaolimpico, come si chiama adesso. C'era il concerto dei Muse, gruppo inglese che seguo da alcuni anni e che purtroppo non ho mai avuto occasione di vedere dal vivo. Vari amici mi avevano detto che i Muse sul palco sono fantastici e già ascoltando i dischi potevo comunque immaginarlo.
I biglietti li ho presi a luglio e già allora non c'erano più posti per il parterre. Ormai i biglietti dei concerti bisogna comprarli secoli prima. Per fortuna, pur essendo in tribuna, un amico ci che è arrivato presto ci ha tenuto dei buoni posti, non troppo lontani dal palco, su cui troneggiavano tre grandi parallelepipedi.
Finalmente, poco dopo le 21, si sono spente le luci e lo spettacolo è iniziato. I parallelepipedi si sono illuminati, rappresentando tre palazzi. Giochi di luce raffiguravano ombre di persone che salivano scale, che parevano infinite, come in un quadro di Escher, finché ad un certo punto le ombre hanno iniziato a cadere dal palazzo. Ad un certo punto le tende che coprivano i parallelepipedi sono cadute ed ecco spuntare i tre Muse, ciascuno su uno dei tre supporti, sollevati a dieci metri da terra, che hanno iniziato a suonare "Uprising". Il pubblico si è trovato immediatamente travolto dallo spettacolo, cantando insieme a loro "we will be victorious".
Sono così iniziate due ore di puro rock, con ogni canzone accompagnata dai giochi di luce proiettati dai e sui supporti del palco, da laser che abbracciavano tutto il pubblico. Si sono intervallati pezzi dell'ultimo album e famosi brani degli album precedenti, che hanno fatto scatenare il pubblico. Notevole il momento dell'assolo ritmico, in cui il batterista il bassista hanno suonato insieme sul supporto centrale, che saliva ruotando.
Io mi sono scatenata per tutto il concerto. Quando è partita "Hysteria" ho iniziato a saltare e gridare come una pazza. Quando hanno suonato "Exogenesis: Symphony, Part 1" sono rimasta come pietrificata, con gli occhi fissi sul palco. E' stata un'emozione grandissima. Uno dei più bei concerti a cui io abbia mai assistito.


Scaletta:
Uprising
Resistance
New Born
Map Of The Problematique
Supermassive Black Hole
MK Ultra
Interlude
Hysteria
Butterflies & Hurricanes
Nishe
United States Of Eurasia
Sunburn
Guiding Light
Helsinki Jam
Undisclosed Desires
Starlight
Plug In Baby
Time Is Running Out
Unnatural Selection

Exogenesis: Symphony, Part 1: Overture
Stockholm Syndrome
Knights of Cydonia

venerdì 4 dicembre 2009

Messico: un sogno diventato … incubo



Erano anni che sognavo il Messico, ma non quello fatto di spiagge, di resort e di turisti per lo più italiani e americani, ma quello più autentico, quello degli scavi archeologici e delle popolazioni indigene.

Così io e Francesco siamo partiti alla scoperta di questo grande paese, con l'idea di visitarne almeno una parte, dedicandoci soprattutto alle rovine dei Maya e degli Atztechi. Ma quello che era un sogno diventato realtà, per una serie di sfortunati eventi, si è presto trasformato in un vero incubo.

Siamo partiti all'avventura, forse un po' troppo, avendo prenotato solo l'aereo e l'automobile, e questo è stato il primo grande errore. L'automobile è stato il punto centrale di tutti i problemi che abbiamo avuto.

La prima disavventura è accaduta dopo un giorno che eravamo lì, mentre da Città del Messico stavamo provando a raggiungere Puebla. Una coppia di poliziotti ci ha fermato dicendo che ci avrebbero multato perché stavamo andando troppo forte, cosa impossibile dato che eravamo appena ripartiti dopo essere stati fermi ad un semaforo. In poche parole stavamo subendo una rapina. Impauriti non siamo riusciti a ribellarci all'ingiustizia, non sapendo quale sarebbe stata la loro reazione. Per fortuna Francesco, che parla un po' di spagnolo, è riuscito a contrattare sull'entità della finta multa. Ovviamente non ci è stato rilasciato alcun pezzo di carta che attestasse quanto appena successo. Mi sono sentita arrabbiata, delusa e sconfortata.

Alcuni giorni dopo, durante una cena a Oaxaca, mi sono sentita così male da dover scappare dal ristorante, lasciando lì Francesco da solo, per raggiungere l'hotel. Per fortuna è stato solo un episodio e non la temuta maledizione di Montezuma.

Il giorno seguente, in cui stavo un po' meglio, ma non troppo, ci aspettava un lungo viaggio per arrivare in Chiapas. Non appena abbiamo raggiunto la macchina per partire abbiamo scoperto che la batteria era completamente a terra. Così abbiamo aspettato per ore l'arrivo dell'assistenza della compagnia di noleggio auto e abbiamo dovuto rinunciare a visitare un sito archeologico di nostro interesse, se no non saremmo mai arrivati entro sera. Quando finalmente siamo riusciti a partire ci siamo ritrovati a percorrere una strada tortuosa in mezzo ai boschi, dovendo così tenere una velocità molto limitata, finché ad un certo punto non ci siamo imbattuti in un posto di blocco, presidiato da militari armati fino ai denti. Cercando, per quanto possibile, di mantenere la calma, ci siamo fermati e loro hanno perquisito ogni centimetro della nostra auto. Per fortuna era tutto a posto, ma ci siamo comunque un po' agitati per la situazione.

Abbiamo proseguito il viaggio lungo strade provinciali, disseminate da topes, dei dissuasori di velocità così alti che ogni volta eravamo costretti a fermarci. Quando finalmente abbiamo raggiunto l'autostrada, siamo passati per la regione del Tabasco e finalmente arrivati in Chiapas, stavamo per tirare un sospiro di sollievo, dato che mancavano circa un centinaio di chilometri per raggiungere Chiapa de Corzo, la città da cui il giorno successivo sarebbe partita l'escursione verso il Canyon del Sumidero. Purtroppo ha iniziato a piovere fortissimo, tanto che quasi era impossibile vedere la strada, che era tutta dissestata. Ad un certo punto abbiamo un forte rumore. Abbiamo preso una buca e una gomma è esplosa. Ovviamente l'autostrada era in mezzo al nulla e il cellulare non prendeva. Abbiamo proseguito per un po', molto lentamente, finché abbiamo scorto, in uno spiazzo, una piccola capanna, dove stavano seduti due ragazzini. Ci siamo fermati per chiedere loro soccorso e abbiamo scoperto che si occupavano proprio della riparazione di gomme, soprattutto di quelle dei camion. Francesco gli si è avvicinato per chiedergli di aiutarci a cambiare la ruota. Loro, con molta flemma, hanno risposto "ma adesso piove!". Francesco è riuscito poi a convincerli e sotto la pioggia, sollevando l'auto con me seduta dentro, hanno sostituito la ruota con il ruotino. Quando hanno finito, per il lavoro, ci hanno chiesto una cifra ridicola, tanto che Francesco si è sentito in dovere di dargli molto di più.

Finalmente, alle 22:30, siamo riusciti ad arrivare a Chiapa de Corzo, in un hotel che abbiamo prenotato il giorno precedente, segnalato dalla guida. L'hotel era orrendo, sporchissimo, al posto della doccia c'era una specie di tubo di gomma, ma ormai era troppo tardi ed eravamo troppo stanchi per cercarne un altro, inoltre la cittadina è piccola e non c'era molta scelta. Mi sono seduta sul letto sconfortata e mi sono messa a piangere.

Il mattino seguente Francesco si è svegliato colpito dalla maledizione. Per lui sono stati giorni terribili, in cui ha cercato lo stesso, con grande fatica, di fare le escursioni che avevamo previsto.

Siamo finalmente riusciti a sostituire la gomma, ma pochi giorni dopo, partendo da Campeche, verso Merida, ci siamo ancora ritrovati con la batteria a terra. Abbiamo di nuovo dovuto saltare una visita ad un sito archeologico e finalmente, dopo svariate peripezie, siamo riusciti a farci sostituire l'auto.

Il viaggio stava giungendo alla fine, siamo stati due giorni a Tulum, Francesco iniziava a stare leggermente meglio, la terribile maledizione ha deciso di scagliarsi su di me. Così ho trascorso l'ultimo giorno prima tornare a casa dormendo, perché era l'unico modo per non sentire il dolore.

Questa è più o meno la sintesi delle sfortune che ci sono capitate. Certo, il viaggio in Messico non è stato solo questo, abbiamo anche vissuto bei momenti e visto splendidi posti, però ammetto che tutto ciò ne ha rovinato il ricordo.

lunedì 14 settembre 2009

Italiani a Boston



E' il giugno 2004 e sono a Boston con Francesco che partecipa ad una serie di meeting per via del suo lavoro. Dato che non sono mai stata negli States, mi sono aggregata ed ogni mattina, mentre lui esce dall'hotel con giacca, cravatta e portatile, per andare all'università io, con le scarpe da ginnastica e lo zainetto parto alla scoperta della città.
Per visitare, a piedi, i luoghi più importanti della città è possibile seguire il Freedom Trail, una riga rossa, tracciata per le vie centrali della città, che collega tra loro i principali monumenti. Alcuni giorni fa l'ho percorso tutto ma, riguardando la mappa, mi sono accorta di aver dimenticato di visitare la casa di Paul Reveree, definita come la più antica casa di Boston. Paul Reveree è un patriota il cui nome qui compare un po' ovunque. La cosa fa quasi ridere, dato che la casa è della fine del 1600 e qui in Italia siamo abituati a cose molto più antiche.
Parto quindi alla ricerca della casa che si trova a North End, la zona italiana della città, dove in anni passati si sono insediate le famiglie degli emigranti. North End è un posto molto caratteristico, il tempo sembra essersi fermato. Per strada si incontrano persone che parlano uno strano linguaggio, che pare una mescolanza di inglese e un qualche, non ben definito, dialetto del sud Italia. Ci sono moltissimi ristoranti italiani e negozi che espongono prodotti da noi molto comuni, ma che lì appaiono come vere specialità.
Ho qualche difficoltà ad individuare la casa e mi fermo un attimo a guardare la cartina. Un gentile signore, vedendomi in difficoltà, mi chiede se ho bisogno di aiuto. Gli dico che cosa sto cercando e mi risponde che la casa è lì vicino, che se voglio mi accompagna con piacere. Camminando mi chiede da dove vengo e cosa faccio a Boston. Non appena capisce che sono Italiana il suo viso si illumina, mi dice che lui si chiama Vincenzo, che è nato lì, ma che ha origini italiane. Prima di arrivare a destinazione mi chiede di entrare in un negozio, una salumeria italiana, dove si mette a gridare "Cammelooooo! She's Federica, she's Italian!". Io sono un po' in imbarazzo, Carmelo finisce di servire il prosciutto ad una signora e viene a salutarmi, mi chiede da che parte d'Italia provengo e mi dice che lui è siciliano.
La scena appare un po' surreale, dopo poco esco e raggiungo finalmente la casa, da cui rimango delusissima. E' una casa di legno, decisamente bruttina. All'interno ci sono orrende ricostruzioni di vita quotidiana dell'epoca di Paul Reveree.
Ammetto che ciò che più mi affascina di questa città non sono i monumenti, ma le persone che incontro a North End, come Carmelo, o la signora che seduta in un angolo tra due piccole vie vende la limonata direttamente da una bacinella, o i ragazzi che nel "Bar dello Sport" seguono la partita della nazionale italiana agli Europei tifando con un'enfasi che in Italia non vedo da molto tempo.

sabato 12 settembre 2009

Il viaggio di un cuoco

More about Il viaggio di un cuoco


Anthony Bourdain è uno chef di New York che ha raggiunto la notorietà grazie al libro "Kitchen Confidential" in cui descrive il frenetico mondo delle cucine dei più noti ristoranti newyorkesi.

Per scrivere "Il viaggio di un cuoco" ha lasciato per un periodo il lavoro di chef e ha intrapreso un lungo viaggio per il mondo, alla ricerca del cibo perfetto.

E' stato in vari luoghi, quali il VietNam, il Portogallo, la Francia, la Spagna, la Russia, la Cambogia, il Messico, il Marocco.
Ha assaggiato tutto ciò che di tipico poteva trovare, a volte anche cose "difficili". Ha vissuto esperienze di vita locale, entrando nelle case di amici, o accolto da parenti dei suoi collaboratori, messicani e portoghesi, di New York.

E' stato seguito in questo suo viaggio da telecamere per la realizzazione dell'omonima serie tv "A cook's toor".

Questo libro mi è piaciuto moltissimo, forse perché anch'io amo viaggiare e tra le cose che amo più fare nei paesi che visito è assaggiare il cibo locale, possibilmente cercando locali non molto turistici e più tipici, e imbattendomi a volte anche in piatti strani.
L'autore ha saputo trasmettere al meglio tutte le sensazioni che ha provato, non solo grazie al cibo, ma anche alla bellezza dei luoghi e alle persone che ha incontrato.

Mi sono innamorata di questo cuoco. Consiglio questo libro a chiunque ami viaggiare ed esplorare le cucine del mondo.

mercoledì 9 settembre 2009

Il Ryokan

Durante il nostro viaggio in Giappone abbiamo avuto occasione di alloggiare in diversi Ryokan, cioè alberghi in stile tradizionale. Non so se tutti i Ryokan siano simili a quelli in cui abbiamo soggiornato, ma posso raccontare quali sono gli elementi ricorrenti che ho notato.



Solitamente ci è stato richiesto di toglierci le scarpe all'ingresso. A volte ci sono state fornite scomode ciabatte, che però è necessario togliersi non appena si entra nella propria stanza. Noi comunque abbiamo sempre preferito camminare scalzi.

Una porta scorrevole costituita da un reticolo di legno con carta di riso separa l'ingresso dalla stanza vera e propria. Nella stanza il pavimento è costituito da un insieme di tatami, cioè da stuoie di bambù di dimensione predefinita. L'arredamento è molto essenziale, costituito da un tavolino basso accanto a cui sono posizionati o cuscini, o sedie col sedile poggiato direttamente sui tatami. Spesso nella stanza si trova una nicchia in cui vengono esposti pannelli con ideogrammi e a volte piccoli altarini.

I letti, o meglio, i futon, si trovano in un armadio a muro e vengono disposti nella stanza solamente al momento di andare a dormire. La maggior parte delle volte il compito di allestire il futon è stato lasciato a noi, mentre una volta ci è capitato di uscire a cena e al ritorno trovarli preparati.



Nel caso in cui le stanze non siano dotate di bagno privato è possibile accedere ai bagni comuni, divisi tra uomini e donne. Nel bagno comune si trova una grande vasca piena di acqua molto calda dove è possibile immergersi per rilassarsi, solo dopo essersi accuratamente lavati e sciacquati, utilizzando le docce poste accanto alla vasca.

Ogni volta ci sono stati forniti gli yukata, cioè dei kimono informali da indossare durante il soggiorno nel ryokan e l'occorrente per la preparazione del tè, a volte accompagnato da un biscotto.

Spesso i Ryokan sono a gestione famigliare e non hanno un grande numero di stanze. Il soggiorno in questi luoghi è stato ogni volta piacevole, intimo e rilassante.

martedì 1 settembre 2009

Indimenticabile Giappone

Eccomi tornata da questo viaggio meraviglioso. E' difficile riassumere in poche righe ciò che ho visto, ciò che ho conosciuto, le sensazioni che ho provato in quei giorni. Proverò a dire qualcosa di generale sui vari posti che ho visto, rimandando eventuali racconti più dettagliati.

I LUOGHI

Tokyo: Tokyo non è molto diversa da tutte le grandi città del mondo. Presenta varie sfaccettature, come l'eleganza di Ginza, la vitalità giovanile di Shibuya, la tranquillità del parco intorno al santuario Meiji-Jingu, l'attività frenetica del mercato del pesce di Tsukiji. Ciò che mi ha colpito di più sono l'ordine e la pulizia che si percepiscono.

Nikko: qui si trova un grande complesso di suntuosi templi.

Kyoto: è una città strana, dove antico e moderno si mischiano e convivono. La prima cosa che si vede è la stazione futuristica, usciti da lì ci si trova in mezzo a un'alternanza di case brutte e templi maestosi. Molto bello il quartiere di Gion, quello famoso per le geishe, costituito da antiche case di legno. Una geisha l'abbiamo intravista di sfuggita.

Nara: anche Nara è famosa per i suoi importanti templi. La particolarità di questo posto è che innumerevoli cervi si aggirano indisturbati per la città, si avvicinano alle persone in cerca di biscotti.

Koyasan: il monte Koya è un luogo importante per la religione buddista. Lì abbiamo dormito in un tempio, dove abbiamo assaggiato la cucina vegetariana dei monaci e dove abbiamo assistito alla cerimonia mattutina, un'esperienza decisamente toccante. In questo luogo si trova inoltre un famoso cimitero. L'abbiamo visitato anche di notte ed effettivamente era un po' inquietante.

Hiroshima: è una città completamente ricostruita, dopo le devastazioni della bomba atomica. La città in sé non dice molto, quel poco che è rimasto, i monumenti dedicati alla tragedia e le testimonianze che abbiamo visto al museo fanno un po' effetto.

Miyajima: isola di fronte a Hiroshima. Decisamente uno dei posti più belli che ho visto, sia per il santuario affacciato sul mare, sia per il sentiero a piedi che abbiamo percorso per arrivare ai templi situati più in alto, dove abbiamo potuto scorgere, da vicino, scimmie che si nutrivano nel bosco.

Beppu: nell'isola di Kyushu, città termale affacciata sul mare, ma che di città di mare non ha niente se non il porto. L'ho trovata abbastanza triste. Unica cosa carina sono i cosidetti "inferni", cioè delle manifestazioni dei fenomeni vulcanici quali acqua fumante, fango ribollente e geiser.

Osaka: città moderna, cuore dell'economia giapponese. L'ho visitata poco e per ciò che ho visto non mi ha detto molto, l'unica cosa che mi ha colpito è l'affollamento delle zone commerciali e la vita notturna.

Himeji: il castello è bellissimo, proprio come l'avevo visto nelle foto. Da segnalare anche i magnifici giardini, che sicuramente sarebbero da vedere all'epoca della fioritura dei ciliegi, ma anche ora sono un vero spettacolo.

Kobe: vista solo di passaggio. Città cosmopolita, c'è un intero quartiere costruito alla maniera occidentale. Obiettivamente mi è sembrato un po' kitch, ma ai giapponesi pare piacere molto.

Kanazawa: cittadina nota per un bellissimo giardino, quasi un parco, che ho molto apprezzato.

Takayama: cittadina montuosa nella regione di Hida, a nord di Tokyo. Una zona tranquillissima, con le case antiche e le botteghe degli artigiani. Ci sarei rimasta ancora un giorno.

IL GIAPPONE E I GIAPPONESI

I Giapponesi non ti osservano, anche se sei palesemente "diverso" sembra cha ai loro occhi tu sia trasparente, ma nel caso in cui gli chiedi aiuto o solo ti vedono un po' in difficoltà cercano in ogni modo di aiutarti, anche quando non ne sono in grado o non parlano una parola d'inglese. I bambini invece ti osservano curiosi. Un giorno una bambina ha chiesto se poteva fare una foto con me.

Uno dei luoghi migliori in cui osservare i Giapponesi è la metropolitana. Lì noti che gli uomini sono tutti vestiti identici, pantalone scuro, camicia bianca e valigetta. Si nota che le donne sono tutte molto curate, con una particolare attenzione alle calze e alle scarpe. Quasi tutte indossano tacchi su cui non sempre riescono a camminare in modo stabile. Quasi tutte le donne e anche molti ragazzi hanno i capelli tinti di castano o di rosso. Mentre viaggiano sui treni della metropolitana le loro attività principali sono: la PSP, il Nintendo DS, la lettura e il far finta di dormire, tutto per non rischiare di parlare con il vicino. Una cosa che mi ha impressionato è entrare in un bar all'ora della colazione e notare che nessuno parlava con nessuno, regnava un religioso silenzio, cosa impensabile in un qualunque bar italiano.

Il silenzio però finisce quando si torna in strada. Fuori dai negozi ci sono ragazzi che urlano incessantemente cercando di attirare l'attenzione dei clienti. Gli annunci alla stazione o in metropolitana sono costantemente accompagnati da musichette e jingle. In alcune stazione ho addirittura sentito il finto canto di uccellini.

Nei cartelli che si vedono in giro, dalle semplici indicazioni a cartelli di divieto della polizia, c'è sempre qualche pupazzetto a rendere più chiaro il concetto.

I treni giapponesi sono di una puntualità sconcertante. Spaccano il secondo e sullo stesso binario parte un treno ogni 5 minuti. Non appena il treno arriva al capolinea sale un omino che si occupa di girare tutti i sedili nel senso di marcia. Per non parlare della pulizia e della sicurezza nelle stazioni.

LA CUCINA GIAPPONESE

La cucina giapponese è ottima. Non è solo sushi e sashimi, che sono comunque degni di nota, come spesso pensiamo noi occidentali. Noi ogni sera siamo riusciti ad assaggiare cose diverse. Posso segnalare alcuni piatti che abbiamo assaggiato:

Okonomiyaki: una specie di frittata fatta di cavoli, germogli di soia, pancetta ed eventualmente altri ingredienti. E' bello anche solo vedere quelli che, armati di palette, la preparano sulla piastra rovente.

Tako Yaki: palline di uovo e polpo, tipiche di Osaka. Anche qui è bellissimo ammirare la manualità dei cuochi durante la preparazione.

Soba e Udon: gli spaghetti giapponesi. I primi sono sottili e di grano saraceno. Si mangiano o in zuppa, oppure freddi intinti in una salsa. I secondi sono più spessi e normalmente si mangiano in una zuppa.

Tenpura: verdure fritte. Questo piatto si conosce anche da noi. Ne ho assaggiate varie versioni e le migliori sono decisamente quelle che ho mangiato nei posti più improbabili, quali birrerie non propriamente raffinate.

Tonkatsu: bistecca di maiale impanata e fritta. Pesantuccia ma buona.

Onigiri: i "panini" giapponesi di riso con l'alga intorno che si vedevano spesso nei cartoni animati. Li compravamo a caso, senza saperne il contenuto. In generale erano buoni.

Colazione Giapponese: questa per me è stata un po' dura, mentre Francesco ne andava matto. Si tratta di verdure sottaceto, riso, uova a volte anche crude, pesce alla griglia, zuppa di miso e tofu.

venerdì 7 agosto 2009

Giappone! Stiamo arrivando!



Dopo mesi di organizzazione stiamo finalmente per partire per il Giappone.

Questo sarà, più o meno, il nostro itinerario:

Tokyo – Kyoto – Monte Koya – Hiroshima – Beppu – Osaka – Kanazawa – Takayama – Tokyo



venerdì 31 luglio 2009

Il suono del vento




E' il 14 Agosto 2005, è il compleanno di Francesco e siamo in viaggio di nozze. Siamo nel cuore del deserto australiano, in un complesso di pochi hotel, unico spiraglio di vita in mezzo a chilometri di nulla.

Alloggiamo all'Outback Pioneer. Quando siamo arrivati ieri pomeriggio faceva molto caldo. Finalmente, dopo giorni passati al freddo nel sud del paese, dove ad agosto è pieno inverno, sono riuscita a stare per qualche ora in maniche corte.

Qui non c'è niente, solamente Uluru, la grande montagna adorata dagli aborigeni, che si erge in mezzo al terreno rosso e piatto che contraddistingue questa zona. Ha un qualcosa di magnetico, perché non si riesce a smettere di ammirarla.

Ieri sera, al tramonto, abbiamo visto Uluru cambiare gradualmente il suo colore, ora stiamo per ripetere la stessa esperienza all'alba, ma dal lato opposto della montagna. Quando usciamo è ancora buio e l'aria è molto fredda. Uluru è più vicino di come l'abbiamo visto ieri. Lo spettacolo è ugualmente emozionante. Uluru, inizialmente spento, piano piano si accende al levare del sole.

Visitiamo Uluru alla base, la guida ci mostra una serie di graffiti realizzati dagli aborigeni, e zone della montagna considerate sacre.

Trascorriamo la giornata vagando per la zona circostante il nostro hotel. E' incredibile quando si stia bene in questo posto anche se non c'è niente, e come sia bello camminare nel deserto senza sentire alcun suono.

La sera partecipiamo ad una cena chiamata Sound of Silence.

Prima della cena degustiamo l'aperitivo, ammirando nuovamente il tramonto su Uluru da un'altra prospettiva, e ascoltando il suono del digeridoo.

Arriviamo nella zona dove sono imbanditi i tavoli. E' completamente in mezzo al nulla. Ceniamo insieme ad una coppia di australiani, due signore americane e una famiglia di inglesi, papà, mamma e una figlia adolescente. Chiacchieriamo tutta la sera e i nostri commensali si stupiscono del fatto che noi, pur essendo italiani, riusciamo tranquillamente a fare una conversazione in inglese e che oltre all'inglese conosciamo anche altre lingue. Loro non riescono neanche a pronunciare bene il mio nome!

La cena è abbastanza buona. Antipasti a buffet, una specie di zuppa riscaldante e carne a buffet, canguro compreso. Quindi dolci e vin brulée. Fa abbastanza freddo. Per fortuna sono molto vestita. Dopo la cena ci vengono mostrate tutte le costellazioni visibili dall'emisfero australe, in particolare la stella del Sud. C'è anche un telescopio a disposizione per vedere meglio alcuni pianeti.

Abbiamo scelto di partecipare a questa cena solo perché siamo in viaggio di nozze, nonostante all'inizio ci sembrasse una cosa un po' kitch. Invece è stata un'esperienza molto coinvolgente. Il momento più emozionante è stato quando gli organizzatori hanno dato inizio alla cena: c'è stato un momento di silenzio assoluto in cui abbiamo udito solo il suono del vento.


venerdì 10 luglio 2009

U2 360 Tour - Milano San Siro 8 Luglio 2009

Erano dodici anni che li aspettavo. Per una serie di motivi le volte in cui gli U2 sono tornati in Italia non ero più riuscita a vederli. Stavolta, con grande fatica, mi sono finalmente procurata i biglietti.

Quando arriviamo a San Siro è tardo pomeriggio, lo stadio è ancora abbastanza vuoto. Al centro si vede l'imponente palco: The Claw, l'artiglio.




Lentamente gli spalti si riempiono.
Alle 19:30 compaiono gli Snow Patrol. Purtoppo conosco poche loro canzoni, ma li trovo comunque bravi e coinvolgenti. Ci dicono che per loro è un grande onore suonare su quel palco prima degli U2.

Alle 21, sulle note di "SpaceOddity" di David Bowie, il palco prende vita, le luci si accendono, ed ecco salire sul palco Larry, che si impossessa subito della batteria e inizia ad impostare il ritmo di "Breathe". Al suo seguito Adam e Edge, infine, da una botola, spunta Bono e lo spettacolo ha inizio.



The Claw produce degli effetti spettacolari, le luci e le immagini che scorrono sugli schermi. Si alternano pezzi del nuovo album a pezzi vecchi.
Inizialmente il pubblico, almeno quello vicino a me, pare un po' spento, ma non appena partono le canzoni più vecchie e conosciute si scatena.
Bono non rinuncia a fare i suoi discorsi sociali, ma stavolta lo fa senza esagerare. Uno dei momenti più toccanti è quello di "Walk On", dedicata a Aung San Suu Kyi: decine di persone sfilano sul grande palco circolare, tenendo davanti al volto una sua foto.

Per il gran finale Bono sfoggia una giacca con dei led rossi, e canta attraverso un microfono circolare che pende dall'alto.



"Moment of Surrender" conclude la serata. Io rimango immobile, aspettando che rientrino, ma la mia illusione svanisce non appena vedo i ragazzi che iniziano a smontare il palco.
Li ho aspettati per dodici anni, ma queste due ore intensissime hanno pienamente ripagato l'attesa.

Scaletta:

Breathe
No Line On The Horizon
Get On Your Boots
Magnificent
Beautiful Day/Here Comes The Sun (snippet)
I Still Haven't Found What I'm Looking For/Don't Stop Til You Get Enough (snippet)
Desire
Stuck in a moment
Electrical Storm
Unknown caller
The Unforgettable Fire
City of Blinding Lights
Vertigo
I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight (remix)
Sunday Bloody Sunday/Get Up Stand Up (snippet)
Pride (In The Name of Love)
MLK
Walk On/You'll Never Walk Alone (snippet)
Where the streets Have no Name
One

Ultraviolet (Light my Way)
With or without you
Moment of Surrender

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